- Regione Piemonte
- Provincia Vercelli (VC)
- Zona Italia Nord Occidentale
- Popolazione Residente
- 46.587 (M 22.241, F 24.346)
- Densità per Kmq: 585,5
- Superficie: 79,85 Kmq
Codici
- CAP 13100
- Telefonico Prefisso 0161
- Codice Istat 002158
- Codice Catastale L750
La storia
Una città fiorentissima. Così Tacito descrisse Vercelli nel primo libro delle Storie; secondo lui, insieme a Milano, Novara e Ivrea, la città era tra le più prospere dell'antica regione Transpadana. Siamo nel I sec. d.C.; la vita economica era impostata su una base agricola, data la posizione nella fertile pianura alluvionale; la fascia pedemontana, ricca di boscaglie e pascoli, rendeva possibile l'allevamento estensivo di bovini, ovini e suini.
Il benessere permetteva una cospicua importazione di merci di pregio, che transitavano lungo le grandi strade di cui Vercelli era centro nevralgico.
La citazione di Tacito riguarda una città con alle spalle già diversi secoli di vita. Sulle origini sono state formulate molte ipo¬tesi, che accettano le definizioni date dagli antichi (Plinio il Vecchio, Polibio, Tolomeo).
Vercelli fu fondata dai Libici, tribù celtica, su un precedente insediamento ligure di Salluvii attorno al VI sec. a.C.
Il processo di romanizzazione iniziò dopo la seconda guerra punica, con un probabile patto di sottomissione e di fedeltà a Roma e culminò nel 49 a.C., quando fu istituito il municipium libero di Vercellae, poi iscritto alla tribù Aniense. In epoca imperiale la città godette dunque di una certa floridezza e, forse anche per questo motivo, fu la prima diocesi a essere eretta a ovest di Milano, risultato finale di una lunga evoluzione partita dalla diffusione del Cristianesimo in città tra le classi più elevate, in tempi non conosciuti.
L'acquartieramento di truppe orientali, che costituivano di solito il supporto più diretto all'arianesimo, spiegano ulteriormente la volontà di organizzare il popolo cristiano attorno a una figura episcopale. Eusebio, cagliaritano, fu acclamato vescovo dalla comunità vercellese attorno al 345 d.C. Il suo episcopato fu assai travagliato a causa delle continue minacce eretiche sul mondo cristianizzato; fu esiliato in Palestina nel 355 e poté rientrare in diocesi solo nel 363; mantenne il proprio ruolo fino alla morte, avvenuta nel 371.
Tre anni dopo, nel 374, san Gerolamo scrisse in una lettera: «Vercelli, città un tempo potente, ora è quasi in rovina, con pochi abitanti». Sembra lontanissimo il tempo della ricchezza imperiale; ma, a ben vedere, una ventina d'anni dopo, sant'Ambrogio in una lettera tornò a parla¬re di "comunità fiorente".
Questa altalena di situazioni sembra quasi descrivere il destino di Vercelli in tutte le epoche: un giorno fiorente, un giorno decadente; ora addormentata, ora ruggente. Le invasioni barbariche già incombevano; la prima dovette avvenire nel 401-2 con le truppe visigote di Alarico; poi passò Attila a capo degli Unni (451).
Vercelli fu quindi città longobarda, periodo di cui non si hanno notizie. Sotto i Franchi, che trasformarono i ducati longobardi in comitati, prese forma e forza la nuova autorità temporale del vescovo.
Tra il IX e l'XI sec. Vercelli fu amministrata dai vescovi che, per la loro formazione culturale, seppero ridare alla città un volto civile e un respiro internazionale, nonostante nuove invasioni degli Ungari (fine IX e inizi X sec.). Attone (924-960) e Leone il Grande (999¬1026) furono i più fulgidi esempi di quella che fu chiamata la "signoria episcopale" di Vercelli.
La loro attività religiosa, riformatrice, politica e culturale portò alla riconquista di territori (come la Valsesia), all'incameramento di nuove rendite, al fiorire delle lettere e delle arti.
Nei sec. XII-XIII il regime feudale vescovile iniziò a sgretolarsi con la contemporanea e progressiva affermazione del libero Comune, il cui primo documento è del 1141. Esso aderì successivamente alla Lega Lombarda (1168).
Il terremoto del 1117, l'incremento demografico, un nuovo spirito civile e sociale furono alla base del fermento che animò la città in questi due secoli.
Venne alzata una nuova cerchia di mura tra il 1162-64 e il 1263, furono recepiti gli stilemi dell'arte romanica e gotica, venne riconsacrata la chiesa di Santa Maria Maggiore alla presenza di papa Eugenio III (1148), furono costruite le chiese di San Michele, San Vittore, San Bernardo e ancora, in forme ormai gotiche, la basilica di Sant'Andrea.
Nel 1228 fu istituito lo Studium, prima università del Piemonte e nelle campagne venne-ro creati i primi borghi franchi.
Le lotte tra guelfi e ghibellini non tardarono a interessare anche Vercelli, dove la parte guelfa era rappresentata dalla famiglia Avogadro e la parte ghibellina prima dai Bicchieri e poi dai Tizzoni.
Furono anni di scontri sanguinosi, violenze e razzie che, a ben guardare, trovavano spiegazione nella lotta del comune contro il vescovo, trasformatasi in conflitto tra famiglie di partito opposto.
L'imperatore Enrico VII presenziò alla stipula della pace nel 1310, ma la tensione rimase nell'aria, non aiutata dalla nuova crisi religiosa che tre anni prima era culminata con il rogo dell'eretico fra' Dolcino e l'annientamento dei suoi seguaci della congregazione degli Apostolici (1307).
I Tizzoni ressero Vercelli fino al 1335 e riuscirono a riconferire un volto civile alla città, costruendo nuovi palazzi, torri e diverse fortificazioni nella campagna. Sfibrata però da battaglie e assedi e privata degli uomini migliori, la città trovò utile, con un processo lungo e graduale, mutare il proprio assetto governativo.
Dal 1335 Vercelli passò sotto la signoria viscontea e rimase sotto la sua influenza per circa un secolo. Vi furono alterne fortune, periodi di tranquillità e di buona amministrazione e tempi più difficili, perché il dominio visconteo si stava allargando sempre di più e provocava le reazioni delle signorie vicine, che si sentivano minacciate.
Con il matrimonio di Filippo Maria Visconti con Maria, la figlia del duca Amedeo VIII di Savoia, lo stemma sabaudo entrò nel 1427 a Vercelli e vi rimase, nella buona sostanza, fino all'avvento della Repubblica. Per tutto il Quattrocento la città rimase tranquilla e, tra il 1471 e il 1473, risedette qui la duchessa Jolanda. In questo periodo e in quello immediatamente successivo si realizzò il naviglio d'Ivrea e iniziò a diffondersi la coltivazione del riso. La pace consentì il fiorire delle arti e di quella straordinaria scuola pittorica che diede alla storia le opere di Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Gerolamo Giovenone, il Sodoma, Gaudenzio Ferrari e Bernardino Lanino.
Presto, purtroppo, il ducato di Savoia fu travolto dalle sanguinose lotte tra francesi e spagnoli e Vercelli si ritrovò abbandonata a se stessa, con truppe spagnole costantemente presenti in città. Cacciato da Torino nel 1536, il duca Francesco I trovò rifugio a Vercelli, vi fece portare la Santa Sindone (1543) e vi rimase fino alla morte (1553).
Il generale de Brissac approfittò del momento di confusione alla morte del duca per far penetrare in città alcune centinaia di soldati che saccheggiarono tutto ciò che poterono, ma non riuscirono a scalfire la cittadella governata dagli spagnoli. La pace di Cateau-Cambrésis (1559) riportò Vercelli sotto l'autorità sabauda e nel 1560 il duca Emanuele Filiberto venne accolto con grandi festeggiamenti. Vercelli rimase capitale del ducato ancora per tre anni, quando il duca, nel 1563, tornò definitivamente a Torino.
Il Seicento fu probabilmente il secolo peggiore della storia di Vercelli.
Assedi, guerre, pestilenze sembravano non dare tregua alla tranquilla popolazione che, forte della sua posizione strategica, si trovò nel bel mezzo della guerra di successione del Monferrato, terra sulla quale il duca di Savoia avanzò pretese fin dal 1612.
Gli spagnoli assediarono Vercelli dal maggio 1617 all'estate del 1618 e la città uscì malconcia dall'esperienza.
Il peggio, però, doveva ancora arrivare.
Rimasta miracolosamente immune dal flagello della peste del 1630 grazie, pare, all'intervento soprannaturale della Madonna invocata dai cittadini, la città fu posta nuovamente sotto assedio nel 1638 dagli spagnoli, che la governarono fino al 1659, quando Carlo Emanuele II riuscì a riconquistarla.
La ripresa avvenne lentamente, grazie a mirate concessioni, esenzioni fiscali e amnistie, ma la guerra era ancora alle porte.
L'esercito alleato franco-spagnolo guidato dal duca di Vendòme bombardò la cittadella e smantellò le fortificazioni nel 1704; con il Trattato di Utrecht (1713) Vercelli tornò a far parte dello stato sabaudo.
La costruzione di nuovi palazzi e chiese e di un nuovo teatro, l'apertura di viali e piazze, la fioritura delle lettere, delle arti e delle scienze, la fortuna dell'economia artigianale testimoniarono di un ritrovato benessere lungo il Settecento; i Reali visitarono la città nel 1789, poco prima del terremoto rivoluzionario che ebbe eco anche nel Vercellese.
I Savoia ruppero le relazioni diplomatiche con la neonata repubblica e le reazioni furono immediate; sotto Napoleone persero Nizza e Savoia e in breve l'intero Piemonte fu annesso alla Francia.
Vercelli, scopertasi un po' giacobina, ma schiacciata dalla pesante crisi economica, s'inchinò a Napoleone che giunse nel maggio 1800.
Di lì a poco la città divenne capoluogo del Dipartimento della Sesia; furono adottate le leggi, le tasse e la lingua francesi e furono soppressi gli ordini religiosi. Sotto lo straniero Vercelli riscoprì la propria atavica alacrità; i commerci rifiorirono, palazzi, viali e teatri furono costruiti, iniziò la pubblicazione di periodici e si crearono i presupposti per esplorare la ricerca scientifica: lo studioso Amedeo Avogadro formulò nel 1811, mentre insegnava al Regio Collegio, l'ipotesi molecolare sulla costituzione della materia.
Nel 1814 fu restaurata la monarchia sabauda; i vecchi funzionari tornarono ai loro posti e la provincia venne ricostituita.
Il ritorno all'antico non fu gradito dalla popolazione; scoppiarono disordini e tornò la povertà, aggravata da malattie e siccità.
Molti cittadini parteciparono ai moti liberali e alle guerre d'indipendenza, soprattutto alla seconda, in cui Vercelli si distinse nella lotta contro gli austriaci.
Unita l'Italia, i vercellesi si appassionarono della vita politica e amministrativa; diventare sindaco o deputato era obiettivo assai ambito e poco importavano le ideologie.
Fogli, notiziari, giornali si moltiplicarono (nel 1871 fu fondata "La Sesia") per sostenere le battaglie più accese, soprattutto contro il clero.
La pubblica istruzione fu favorita; la percentuale di analfabeti era di gran lunga inferiore alla media nazionale. Furono fondati l'istituto tecnico, il liceo ginnasio, la scuola normale femminile, le scuole di disegno e di musica e, nel 1875, la biblioteca civica. Le stagioni teatrali diventano momento sociale d'incontro e di dibattito.
Con l'arrivo delle prime industrie in città, l'asse politico iniziò a spostarsi.
Nacquero le prime organizzazioni operaie, furono proclamati i primi scioperi, pian piano si costituirono una compagine di centrodestra legata alla borghesia e una di sinistra che diede poi vita ai circoli socialisti.
Attorno a questi, tra il 1901 e il 1909, si svilupparono le battaglie sociali per la riduzione dell'orario di lavoro e per la conquista delle "otto ore" nella monda del riso.
Durante la prima guerra mondiale Vercelli offrì il doloroso contributo di tremila caduti; rialzatasi, fu stimolata da un vivace dibattito politico che portò presto alla organizzazione delle squadre fasciste.
Nel 1927 si insediò il primo podestà; lontani dal potere centrale, i gerarchi riuscirono ad amministrare la città con obiettività e Vercelli poté godere di vita tranquilla.
Anche la seconda guerra mondiale costò a Vercelli il sacrificio di molti cittadini; la Resistenza non lesinò atti di autentico eroismo.
La ricostruzione, lenta e laboriosa, fu principalmente sostenuta dalle iniziative dei piccoli imprenditori.
Così il piano urbanistico, senza un'adeguata programmazione, portò a sventramenti o a snaturamenti del centro storico.
Solo negli ultimi anni del sec. XX una più matura coscienza culturale portò a intraprendere opere di restauro, di sistemazione e di abbellimento degli spazi pubblici e dei monumenti.
Oggi Vercelli è stata inserita nell'elenco delle circa trenta città d'arte italiane, grazie a un'acuta e tenace politica culturale volta a promuovere l'autentico valore di questa bella e solida città da visitare e da amare.
Il testo di "La storia" è tratto da "Vercelli e provincia" Guida edita da Whitelight Editore