È nell'ordinato del 22 febbraio 1606 che si trova la prima attestazione di riconoscenza per i benefattori.
“Il sig. Pietro Francesco Gallino governatore della casa propone che gli parrebbe bene per gratitudine et memoria dell'Illustrissimo monsignor Cardinale Guala fondatore et altri benefattori di questo Hospitale et per dar animo ad altri far dipingere le loro arme et insigne sotto il novo portico con qualche memoria dei benefizi fatti rimettendosi però al parere e deliberamento della Congregazione”
Gli stemmi sono tuttora visibili nel portico retrostante al Salone Dugentesco.
Presto, tuttavia, subentrò anche l'uso dei ritratti dipinti, che poi prevalse, forse anche perché non tutti i benefattori erano nobili, tali da fregiarsi di un blasone. Fu sempre più allargata la maglia sociale, comprendendo esponenti del clero, della borghesia, notabili o ricchi imprenditori, fino a coinvolgere la piccola borghesia benestante.
Dall'ordinato del 13 agosto 1866: “la Congregazione confermando la citata consuetudine, che ravvisa corrispondere da un lato a un debito di gratitudine e dall'altro di poter servire di proficuo esempio e di stimolo al moltiplicarsi delle benefiche istituzioni, delibera di far riprodurre sulla tela le sembianze di tutti i benefattori”. La tradizione perdurò sino alla metà del Novecento.
Fu Giulio Cesare Faccio, studioso e archivista dell'Ospedale, a pubblicare, in due edizioni del 1957 e del 1958, la prima schedatura dei 144 ritratti dei benefattori.
I ritratti sono dipinti a olio su tela, inseriti in cornici semplici e seriali, le figure a mezzo busto. Fanno eccezione due soli quadri a figura intera, quello del Cardinale Guala Bicchieri, oggi esposto nell'Aula Magna dell'Ospedale nuovo, e quello della nobildonna Gabriella Calcamuggi Avogadro della Motta, qui allestito.
Il benefattore può comparire da solo o nel doppio ritratto. La sua immagine è sempre accompagnata da una tabella sottostante con l'iscrizione, che riporta la sua identità e il tipo di legato. Solo nel Novecento le iscrizioni vengono dipinte direttamente sullo sfondo.
I ritratti, inizialmente esposti nel Salone della Congregazione, venivano appesi alle pareti delle Infermerie e dall'Ottocento anche in altri “siti di maggiore accesso”. Dopo che il Salone Dugentesco perse le antiche funzioni di cappella, trasferite alla chiesa di San Pietro Martire, i ritratti iniziarono a occupare anche quegli spazi, come testimoniano alcune fotografie della metà del Novecento dell'Archivio Giachetti-Baita (16 giugno 1956), celebrandone la memoria anche in occasione della ricorrenza della Festa dell'Ospedale.
Della costante cura per la loro conservazione, vi sono diverse testimonianze nel tempo. Tra queste la nota di pagamento del 31 marzo 1747 del pittore “Marco de Brostiis”, per “riacomodare tutti li Ritratti de Benefattori nell'Infermeria, con altri quadri e bagatelle”.
Tra il 1847 e il 1853, si colloca il poderoso intervento dell'artista Pietro Narducci, per un totale di trentasei ritratti, su quelli più antichi. Di essi, dunque, non conserviamo più il dipinto originario, ma vediamo, sulla sua impronta iconografica, la stesura pittorica ottocentesca. Importava di più la conservazione dell'identità del benefattore, che dell'oggetto artistico.